Identità e mondi condivisi: l’attacco dell’orso all’antropologa Nastassja Martin

Wild Matters

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Nei precedenti articoli abbiamo parlato di coesistenza e disagio ecologico.

La coesistenza non è mai un processo dato una volta per tutte, ma un continuo rimodellarsi di identità, di idee di mondo, di azioni e di emozioni.

Ogni soggetto fa parte di questa danza di vite e contribuisce a modellare la forma del mondo.

La coesistenza, al contrario di ciò che si può pensare, non consiste solamente nel quieto vivere ma, per sua definizione, contiene in sé scontri e conflitti che hanno la possibilità di generare nuove realtà più armoniche o, quantomeno, stabili.

Non esiste coesistenza senza conflitto: se la vita di altri animali non si scontra con la vita umana modificandola, significa che non vi è abbastanza bio-abbondanza.

Eppure, la bio-abbondanza caratterizza il mondo ecologico e psicologico entro il quale la nostra specie, come le altre, si è evoluta. Infatti, nessuna specie si è evoluta da sola, ma sempre in relazione a innumerevoli altre.

In un mondo senza la Sesta Estinzione di massa della biodiversità, come quello della megafauna Pleistocenica, il senso della vita umana era permeato dalla vita degli altri animali: l’identità poteva essere plurima, poiché la forma della vita era data dall’incontrarsi di molteplici istanze.

La storia ci dice che, spesso, Homo sapiens non ha saputo accettare questa pluralità, spazzando via la biodiversità del mondo ovunque andasse.

Oramai, data la povertà ecologica globale, sembra quasi impossibile dare senso all’incontro/scontro con la biodiversità nella maggior parte del mondo, Italia compresa.

La disabitudine alla presenza non-umana, pervade anche le menti più sensibili…

Anche la filosofa ecofemminista Val Plumwood, per esempio, nonostante fosse convintamente ecocentrica, ha avuto profonde difficoltà psicologiche nel trovare senso dell’attacco di un coccodrillo, il quale la prese in una stretta quasi mortale per mangiarla.

 

Nastassja Martin è un’antropologa che si muove tra diversi mondi concettuali e fisici, avendo vissuto in Francia e fatto ricerca etnografica in Alaska e in Kamchatka.

Nel libro In the Eye of the Wild, Nastassja descrive così i primi attimi dopo l’attacco:

“Sono questa figura sfuocata, i miei tratti sono inglobati dalle ferite, assieme ai miei tessuti interni, ai fluidi, al sangue: è una nascita, poiché chiaramente non è una morte”.

L’antropologa, avendo reagito in modo aggressivo all’incontro ravvicinato con l’orso, ha stimolato la reazione di attacco del semi-plantigrado. Ora Nastassja si trova, senza più un volto, a dover trovare senso a questo incontro traumatico, tentativo che non trova particolare successo. Allieva del famoso antropologo Philippe Descola, ella sa che la sua identità non è singolare ma condivisa con il mondo e punto di convergenza tra diverse vite. Eppure, il libro è una continua lotta verso la ricerca di una identità univoca.

Al termine dello scritto, l’antropologa capisce di non dover trovare un senso, ma semplicemente di dover accettare la sua nuova vita.

Il modo in cui le persone native la chiamano ora è Medka, letteralmente metà orso e metà umano, parola che indica quelle persone segnate dall’incontro con un orso, le quali abitano i due mondi: quello selvaggio e quello umano.

Questo è il modo in cui il popolo della Siberia, con cui Nastassja viveva, conferisce senso all’evento: la persona marchiata dall’orso abita un’ontologia, un mondo, totalmente diversa dalle persone non segnate.

Eppure, lo scontro effettivo conosciuto da Nastassja non si trova in un’altra realtà rispetto la nostra: tutti noi siamo caratterizzati dalla possibilità dell’incontro/scontro con l’alterità del vivente. Nessun individuo è singolo e se abbiamo questa impressione è perché in un mondo privo di biodiversità non siamo abituati a pensare in termini di comunità e identità ecologica.

 

Eventi quali l’antropofagia come nel caso della Plamwood, o l’attacco da parte di un animale selvatico, scuotono profondamente il nostro mondo basato su assunti antropocentrici e individualisti.

In un’ottica di rewilding e bio-proporzionalità, però, gli incontri con la biodiversità aumenteranno, mettendo in crisi ogni assunto che non sia ecocentrico.

Da disturbi ad allevamento e agricoltura ad incidenti stradali, dall’incontro all’antropofagia, il nostro modo di vedere la realtà umana separata dalla realtà ecologica si incrinerà sempre di più.

Siamo pronti per tale salto ontologico?

Dobbiamo, dunque, iniziare a costruire nuovi orizzonti di senso, per un mondo futuro in cui la nostra identità non sia specista ma ecologica, in cui il nostro sé non finisca all’interno delle mura del nostro corpo, ma ci trascenda e diventi collettivo e biodiverso.

Questo sarà l’unico modo per arrestare la sesta estinzione di massa della biodiversità, iniziata con l’estinzione dell’ingombrante megafauna.

 

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Eleonora Vecchi

 

Riferimenti:

Nastassja Martin, 2021, The Eye of the Wild, New York Review Books.

Val Plumwood, 2012, The Eye of the Crocodile, ANU E Press.