UNIONE EUROPEA E DEMOGRAFIA: TRA ECOLOGIA E GIUSTIZIA SOCIALE

Wild Matters

Writer & Blogger

Povertà, fame, instabilità politico-sociale, malfunzionamento del sistema sanitario, deterioramento degli ecosistemi e perdita di biodiversità, nel continente africano tutti queste indesiderabili conseguenze si intrecciano con l’impressionante incremento della popolazione umana. L’Unione Europea, attore politico di primo rilievo, si vede di fronte a un generale invecchiamento della propria popolazione e un flusso migratorio di non precedenti proporzioni proveniente dall’Africa e dal Medio Oriente. Per rispondere ad una crisi umanitaria e trovare concrete soluzioni a dinamiche interne potenzialmente distruttive, l’Unione Europea deve mettere in campo una strategia di ampio respiro e lungo termine. Attualmente molti paesi dell’Unione supportano lo United Nations Population Fund, ma non tutte le nazioni partecipano in misura adeguata e sembra che il fondo delle Nazioni Unite manchi di quella forza di cui un decreto europeo può essere capace. Se si concorda sul ruolo protagonista dell’Unione Europa in questa sfida  per i diritti umani e ambientali, occorre riflettere su possibili politiche all’altezza del compito.

La sfida dei prossimi decenni, sarà trovare una soluzione per sfamare una popolazione di quasi dieci miliardi senza portare al collasso i già estremamente vulnerabili sistemi ecologici. Oggi, il tasso d’estinzione è dalle 100 alle 1000 volte superiore rispetto al suo “normale” andamento. Con un’umanità crescente sia per quanto riguarda il numero di individui che per quello dei consumi c’è un’urgenza di più terreni, materie prime ed energia. Senza una volontà politica concreta, al di là dei facili proclami, le generazioni future vivranno in un mondo povero di diversità biologica a seguito della Sesta Estinzione di massa.

Attualmente, il nostro pianeta è testimone di una vertiginosa espansione demografica. Dopo aver raggiunto il suo primo miliardo circa 200 anni fa, per poi raddoppiare entro il 1927, la popolazione umana sembra dirigersi verso gli 8 miliardi per il 2025. Oggi, però, la causa della crescita non è più un tasso elevato operante su di una base relativamente modesta. Al contrario, seppure la popolazione umana aumenta solo dell’1.1% , essendovi 7.7 miliardi di esseri umani, 80 milioni di individui si aggiungono al collettivo dei Sapiens ogni anno. Una cifra incredibilmente alta.

La più drammatica trasformazione demografica si sta verificando nei paesi meno ricchi del globo, contribuendo l’inasprirsi di situazioni già particolarmente delicate. Tra il 2020 e il 2050 i paesi protagonisti di “esplosioni demografiche” saranno l’India, la Nigeria, il Pakistan, la Repubblica Democratica del Congo, l’Etiopia, la Tanzania, l’Indonesia e l’Egitto. In Africa si trovano le nazioni con il più alto tasso demografico: in Niger la media è di 7 figli per donna, in Somalia e Congo 6, etc. Il continente africano contiene il 13% della popolazione mondiale, ma entro il 2100 raggiungerà il 40%. Com’è possibile pensare la portata di tale trasformazione? Quello che sappiamo con certezza è che accadrà in alcune dei più importanti hot spot della biodiversità mondiale nonché zone altamente vulnerabili da un punto di vista geopolitico per via di tremenda povertà e disuguaglianza.

Se alcune aree stanno assistendo a drammatici boom, altre si trovano all’estremo opposto con una popolazione verso il rapido invecchiamento e un tasso di 2.01 figli per donna. La popolazione mondiale sta indubbiamente invecchiando. Nel 2050, in Nord America e Europa, una persona ogni quattro avrà più di 65 anni. Questo dato comporta ripercussioni preoccupanti sul mercato del lavoro sulla performance economica dei paesi coinvolti: maggior pressione economica renderà ardua impresa il mantenere un sistema sanitario e pensionistico funzionante per tutti.

 

Politiche interne

 

Questi timori da “svuotamento delle culle”, hanno portato molti paesi europei, tra i quali l’Italia, a cimentarsi in politiche pro-nataliste onde incoraggiare le famiglie ad avere più figli. Questa strategia, basata principalmente su bonus e sussidi, non solo si è dimostrata poco efficace nella pratica, ma si basa inoltre su presupposti etici discutibili laddove viene accostata a politiche migratorie repressive. Il metodo più efficace per causare un effettivo incremento demografico, sarebbe violare la libertà degli individui circa il poter disporre del proprio corpo. Questa attitudine politica trova le sue radici nella preoccupazione che la crescita economica subisca una battuta d’arresto dovuta a un deficit di lavoro e capitale causata da un crescente costo dovuto alle necessità di una società “troppo” anziana. Nonostante queste preoccupazioni siano innegabili, l’Europa non può fare affidamento a politiche pro-nataliste intinte di etnocentrismo per fuggire la crisi.

Vi sono almeno tre valide ragioni per le quali il pro-natalismo deve essere rigettato:

1) l’Unione Europea si trova già al di là della sua capacità di carico in termini ambientali

2) la crescita demografica non può essere infinita perciò una riforma strutturale del welfare è semplicemente inevitabile

3) in un mondo che vede sempre più rifugiati ambientali non si può evitare un approccio sensibile verso le persone che “decidono” di migrare.

Le nazioni con un tassi di nascita moderati dovrebbero riconoscere il loro potenziale in termini recupero ambientale e divenire pionieri di nuove strutture sociali. Anzitutto, il relativamente stabile flusso migratorio può benevolmente mitigare una eccessivamente rapida contrazione demografica. Le migrazioni sono inoltre un sollievo, in termini socio-ecologici, per aree soggette a radicale incremento demografico. Tuttavia, le migrazioni non sono la soluzione a tutti i problemi, bensì una contingenza necessaria che può portare sia benefici che tensioni in base alla capacità dei paesi di provenienza di accogliere e gestire i nuovi arrivati. Per tale ragione sono necessari crescenti investimenti per implementare l’integrazione culturale. In secondo luogo, onde trovare la migliore strategia possibile servono più fondi per implementare la tecnologia disponibile. Da ultimo, l’Unione Europea necessita di una serie di riforme sociali e finanziarie per un efficace adattamento alla nuova struttura sociale. La politica deve riconoscere l’urgenza della situazione contemporanea, del resto ogni mutamento della dinamiche demografiche ha sempre comportato drammatiche trasformazioni nello sviluppo e nell’aspetto di ogni comunità.

Le riforme dovranno mirare a implementare servizi sanitari e cure a lungo termine: maggiori investimenti per la salute pubblica e per incrementare lo staff medico. Nuove tecnologie giocheranno un ruolo centrale assieme a innovazioni nella gestione del “capitale umano” durante l’intero ciclo della vita. Questo comporterà cambiamenti significavi nella gestione delle risorse umane e nelle business best practice. In altri termini, l’età di pensionamento e il tipo di partecipazione nella società devono essere calibrati su di una popolazione generalmente più anziana ma in migliori condizioni di salute. Promuovere carriere più lunghe, per quanto impopolare, potrebbe produrre più risorse per pensioni e incrementare la liquidità nelle casse statali. In questa prospettiva, pensioni part-time potrebbero diventare la norma.

 

Politiche estere

 

Attualmente, in Africa il tasso medio di figli per donna di 4.7 facendo di questo continente il protagonista di una crescita demografica tre volte superiore alla media mondiale. Con tale tasso di incremento la popolazione africana potrebbe raggiungere entro il 2100 una cifra che può variare dai 3 ai 6 miliardi. Anche se molti possono pensare il contrario, la crescita economica, da sola, non comporta una riduzione del tasso di crescita della popolazione. L’Africa necessità di un piano innovativo per rallentare la propria crescita demografica e per raggiungere sostenibilità economica, sociale e ambientale. Due ingredienti chiave possono fare la differenza nel raggiungere questo traguardo:

1) diffuso accesso alla contraccezione e a cure mediche

2) empowerment delle donne da un punto di vista educativo, sociale, economico e politico.

La combinazione di questi due fattori è risultata efficace nel ridurre drasticamente il tasso di crescita in paesi come Tunisia e Mauritius e può essere con successo riproposto in numerosi altri paesi se vi è sufficiente supporto finanziario. L’Ue e altri grandi attori globali devo supportare questo enorme sforzo con adeguati, a lungo termine, e mirati investimenti.

La pianificazione famigliare è un diritto umano, come dichiarato dal Protocollo di Maputo, e rappresenta il cuore del processo verso processi demografici sostenibili. La mancanza di accesso ai moderni contraccettivi inasprisce l’inadempienza dei diritti umani in tutto il mondo.  Infatti, la mancanza di anticoncezionali intensifica il rischio di aborti insicuri, morte di neonati e madri, e  contribuisce all’insostenibile trend demografico attuale.

Allo stato attuale, solo il 29 % delle donne sposate in Africa in età riproduttiva adotta moderne tecniche di contraccezione quando, in ogni altro luogo, la media è più del 50%. Inoltre, studi rivelano che le gravidanze indesiderate sono più di una su tre. In questa drammatica cornice, l’Eu, a un livello internazionale, può esercitare pressione per raggiungere obblighi nazionali volti all’assicurazione di pianificazione famigliare accessibile per tutti. Ovviamente, onde rendere sensato questo vincolo molte nazioni necessitano di supporto economico. Per questa ragione, l’Eu deve stanziare un fondo speciale per ridurre drasticamente le barriere alla moderna contraccezione, tra queste diminuendo la distanza tra gli utenti e l’erogazione di servizi medici.

La comunità internazionale deve ambire a stabilizzare la crescita demografica in maniera democratica e non coercitiva: donne e coppie, non governi, detengono il diritto di decidere quanti figli avere e quando averli. Perciò, il mero fornire contraccettivi e servizi medici non è sufficiente. Le donne, infatti, sono le autentiche protagoniste della possibile transizione demografica. Simultaneamente ad un piano per il family planning, l’Eu deve promuovere l’empowerment  femminile in Africa. Laddove le donne hanno educazione, indipendenza economica e libertà, esse spontaneamente tengono a prediligere famiglie meno numerose. Indubbiamente, l’uguaglianza di genere e l’empowerment femminile non necessitano alcuna ragione demografica o ambientale. Ad ogni modo, senza una fondamentale trasformazione della condizione femminile in numerose nazioni, stabilizzare umanamente la crescita demografica è un compito impossibile.

L’investimento nell’educazione è un fattore centrale nel ottenere eguaglianza tra generi. Il sapere incoraggia i giovani nel domandare contraccettivi e nell’optare in famiglie meno numerose come diretta conseguenza di una più significativa percezione del proprio corpo e della propria posizione nel mondo. Le donne africane con una educazione superiore hanno una media di 2.2 figli per donna, una differenza sostanziale se comparate alle donne senza educazione alcuna con 5.4 figli di media. Famiglie meno numerose lasciano inoltre maggior possibilità alle donne di divenire attrici sociali al di là del ruolo genitoriale incrementando le proprie possibilità di autodeterminazione.

Indubbiamente, ogni sensato piano volto alla giustizia demografica non può dimenticarsi del ruolo maschile nelle società. In questa prospettiva, l’educazione sessuale deve essere insegnata a tutti i generi onde evitare ignoranza in termini di contraccezione o di malattie veneree. Solamente attraverso una trasformazione culturale le donne potranno finalmente decidere in libertà circa il proprio corpo e il proprio destino. Per tale ragione, mediatori culturali dovranno essere coinvolti in prima linea per raggiungere l’obiettivo di una giustizia demografica, specialmente laddove tensioni sociali e religiose rendono tale compito più complesso.

 

Conclusioni

La stabilizzazione demografica non è un proiettile d’argento capace, da solo, di raggiungere la sostenibilità ambientale. Tuttavia, essa rappresenta il più potente mezzo per connettere diritti umani e protezione degli ecosistemi. L’Unione Europea, il cui destino è intrecciato al continente africano primariamente per via delle migrazioni di massa contemporanee, necessita non solo di riformare il proprio sistema sanitario e pensionistico in conseguenza al generale invecchiamento della propria popolazione ma deve mettere in campo un robusto piano per supportare l’Africa nella sua urgenza demografica. Se l’Africa arriverà a fine secolo ad avere svariati miliardi di abitanti o qualcosa di prossimo ai 1.2 miliardi questa differenza giocherà un ruolo decisivo nel determinare la possibilità per uno sviluppo sostenibile.