DNBlog – Day 11 – Fragilità e armature

Debitum Naturae

Writer & Blogger

– premessa, ho scritto per due ore, poi si è accavallata una notifica di Facebook ed essendo programmato da bonobo ubriachi si è perso tutto. Quindi lo sto scrivendo di nuovo. Sarà molto più intenso ma anche molto più confusionario. Non invidio Giada la mia precisa e adorata correttrice di Bozze –

“Mi sono aperto volutamente per lasciarmi ferire perché penso che le ferite mi possano insegnare qualcosa. Le corazze se non possono essere messe e tolte a piacimento sono prigioni. Perciò io voglio la corazza più ornata, più solida e più impenetrabile del mondo ma voglio anche avere la capacità il coraggio e la forza di levarmela quando mi pare e piace con le persone che mi pare e piace.”

Poco fa ho concluso un lungo discorso di riappacificazione con queste parole che credo racchiudano perfettamente il senso dell’immagine allegata (che è però legata ad un altro episodio, motivo per il quale ora facciamo un po’ di ordine).

Qualche giorno fa ho scoperto che la mia vicina di casa in combutta con (o a causa dell’ignavia di) mio cognato aveva ordito per far abbattere una delle due piante ultrasecolari che crescono nel mio terreno. Conosco la quercia in questione da quando ho visitato il lotto per la prima volta, quattordici anni fa, inutile dire quindi quale vortice di sentimenti può evocarmi. Rispetto, stima, timore reverenziale, affetto. Quindi altrettanto immediato capire quanto mi abbia fatto sentire impotente, arrabbiato e frustrato sapere che avevo ormai ancora pochissimo margine di manovra (credo che farò un post a parte su questa vicenda). Comunque, come praticamente sempre, mi pareva di avere la situazione sotto controllo.

Sono rientrato in casa e ho trovato ad attendermi Natan Andrea Feltrin e Eleonora Vecchi (che se non faranno un lungo e accurato commento descrivendo la scena dal loro punto di vista e facendo le loro riflessioni faranno una fine tremenda. I loro commenti verranno poi aggiunti in coda al post). Tempo nemmeno di dire le prime 4 o 5 parole a riguardo sono scoppiato a piangere. Potevo (purtroppo o per fortuna ho imparato a farlo) condizionarmi a smettere immediatamente oppure allontanarmi e non l’ho fatto.

Ho pianto pochissime volte nella mia vita e ancora meno volte in presenza di altri; eppure, questa volta (non la prima per fortuna) ho deciso di rimanere nonostante mi spezzasse ancora di più il cuore vedere i lacrimoni di Ele e lo sguardo atterrito e sgomento di Natan per poi addirittura mostrarmi in questa veste inedita in pubblico e scriverne anche.

Consapevole che ovviamente dimostrando ancora una volta la propria infinita ignoranza qualcuno ne gioirà o mi deriderà (alle spalle si sa, vuoi mica avere il coraggio di affrontarmi).

Ma molto, molto più importante, consapevole di come un post come questo non faccia altro che aumentare l’amore di chi mi ama, la stima di chi mi stima e magari essere di incoraggiamento e sostegno per molti altri.

Concedersi di essere fragili richiede coraggio. Sapere che sta per arrivare il colpo (e magari anche sapere da dove e quanto forte) e rimanere stoicamente immobili lo richiede. Essere all’interno di una o più corazze magari costruite in anni e scegliere consapevolmente di esporsi lo richiede. Lasciare che le armi del fato spesso infausto affondano i propri denti nelle carni della nostra anima lo richiede. Non richiudersi immediatamente all’interno delle proprie difese lo richiede. Ammettere a se stessi di essere vulnerabili e di essersi concesso di esserlo, ammetterlo agli altri lo richiede.

Concedersi di essere fragili richiede forza. Prova tu (per carità magari lo fai) a sopportare il dolore lancinante mentre sei impotente, magari per scelta, quindi anche con quel velo di senso di colpa e di auto rimprovero per non essersi difeso a dovere. Io ho avuto un solo attacco di panico in tutta la mia vita (non probabilmente serissimo e totalmente a caso). Una volta terminato ho scritto a tutte le persone che so esserne soggette e ho chiesto SCUSA per aver sistematicamente sottovalutato la forza dimostrata sino a quel momento (una in particolare che non so se posso citare ma scrivo così in modo che nel caso lo sappia). Essere ben protetti è facile e non è affatto indice di forza.

Concedersi di essere fragili richiede sapienza. Non sto affatto elogiando la disperata arrendevolezza ai danni del destino, tutt’altro. Io ho costruito una perfetta, solida, lucida e impeccabile armatura negli anni e ne vado ASSOLUTAMENTE fiero, ma senza la conoscenza intima dei propri meccanismi, come dicevo all’inizio, quel costrutto diventa una prigione che SÌ blocca ogni cosa che viene dall’esterno, ma non permette neanche di mandare FUORI ciò che vorremmo.

Concedersi di essere fragili è anche un gesto di amore soprattutto se è coinvolto qualcuno/a che amiamo. È sempre una forma di apertura. È una splendida forma di fiducia e rispetto. Dà una misura di quanto sia preziosa l’altra persona ai nostri occhi. Concedersi di piangere o soffrire per la mancanza dell’altro o perché in una sua fase ci sta facendo mancare qualcosa. Oppure lasciarsi scalfire dal dolore che ci infligge inconsapevolmente non diventando per pura difesa insensibili. Sì, c’è anche amore. TANTO.

(nota, questo post non avrà domanda finale ma puoi, oltre a dire quello che ti pare, come scriverò, anche cogliere la citazione distesa e nascosta tra le righe di questa prima parte).

E quindi appurato tutto questo. Appurato che quella pianta, come ciascuna delle persone che amo, meritasse ogni stilla di dolore provato, cosa mancava?

Ammetterlo ed esporsi.

Facile soffrire in silenzio e di nascosto lasciando intatta l’immagine inossidabile che ci siamo costruiti (qua parlo principalmente per me, sia chiaro). Certo, magari siamo già ad un discreto livello di consapevolezza e maturità e allora lasciamo pure che l’armatura si scosti un po’… ma poi è istintivo richiudere tutto subito, fare finta di nulla e lasciare che il sangue scorra ben nascosto dalle piastre d’acciaio brunito eh.

No. Un po’ alla volta, prima con le persone che amo di più , poi man mano alle aree più periferiche di quella rete di relazioni di cui ho parlato qualche giorno fa e infine oggi anche pubblicamente, ho deciso che non mi importa nulla. Sono un essere umano straordinario (e modesto) ma sono anche un essere umano.

Io sono anche questo. Io non sono debole. Sono così forte da poter mostrare di essere debole.

Non è essere impenetrabili che rende invincibili, conoscere minuziosamente ogni possibile apertura e la natura di ogni ferita lo fa.

Non è essere inattaccabili che rende immortali, è essere consapevoli della propria mortalità che ci avvicina ad esserlo.

Non è essere inarrestabili che ci rende degni di amore per gli altri o che rende il nostro amore prezioso per loro. È essere ogni giorno una persona migliore, guarendo dalle proprie ferite, per sé stessi e l’altro

Le persone che ho più vicino (qualche volta senza nemmeno mia ammissione) mi amano e si fanno amare perché sanno che io sono quello che emerge da questo post (e dagli altri, ma forse da questo principalmente)

La vita è alla fine è un Soulslike hardcore con una sola vita (non è questa la citazione anche se coglierla è ottimo).

E dopo queste ultime contorte parole, dopo aver scritto per due ore invece che una ti lascio pure senza domanda.

Di’ quello che vuoi.

Torniamo con il blog domani, sera probabilmente.

P.S. terrò aggiornati sulla questione Quercia con un post a parte.

 

RISPOSTE:

I sentimenti non sono mai fragilità, sono punti di forza di cui essere fieri protettori.

Provare emozioni, legami, commuoversi non sono debolezze da colmare ma ricchezze da coltivare, amare la natura poi è un modo di lodare ogni giorno questa martoriata terra di cui tu sei un suo guardiano, con le tue peculiarità i tuoi punti e le tue lacrime per un re quercia, vanne fiero, ogni lacrima è vita per il mondo.

La sensibilità è dono e onere, ma senza non siamo più umani…il coraggio di esprimere davvero ciò che si prova è la più importante forma di rispetto e amore profondo verso la vita e i suoi abitanti…solo chi è un vero uomo o donna riesce ad avere il vero coraggio di emozionarsi, il resto sono poveri esseri senz’anima, larve. Grazie Pellegrino per essere uno splendido umano.

Sentimenti, questo tuo alleato e nemico costante.

Aiuta nella vita e sicuramente è ciò che ci rende umani, ma quanto sono difficili? Chi più ne ha, più è coraggioso.

Questo, secondo me, è una parte che dà molto valore ad una persona, perché a chiuderci siamo tutti bravi…ma ad aprirci? Nonostante tutto? Tutti?

Ecco no, questo lo fa solo chi è veramente forte. Grazie alle persone che ci fanno capire che essere forti non vuol dire non soffrire, grazie.

“Un giorno la paura bussò alla porta, il coraggio andò ad aprire e non vide nessuno”

Ho visto questa frase postata molte volte, non ho mai capito che ci fosse di bello. O di giusto. Il coraggio non è l’assenza di paura, ma l’affrontare quest’ultima.

Rimuovendo le armature ho scoperto che ogni ferita può guarire se esposta al sole, è nell’ombra che ristagna e marcisce. Chi piange ha più coraggio di chi reprime? Non lo so, so che quello è il mio tipo di coraggio. Quel tipo di coraggio che voglio avere. Il mondo può essere terribile, ma nonostante tutto il suo brutale “realismo”, l’amore resta il motore di tutto. Un giorno il cielo cadrà, le maschere bruceranno e solo quel coraggio ci potrà salvare. Avere coscienza della debolezza rende forti, negarla rende fragili.

Un maestro di arti marziali, un grande maestro, (ora mi sfugge il nome) diceva che il modo migliore di conseguire la vittoria è quello di offrire la propria vita, piuttosto che dare la morte.

Non ti ho mai dato del tu, ma oggi mi prendo la libertà di farlo. È solo un’idea, probabilmente ne avrai di migliori, ma: dallo alla tribù. Dallo ai tuoi protetti perché compia il passaggio, aiutalo anche tu nel viaggio. Passalo, poi, ai figli minori della tribù, a chi potrà pagarlo, apri una raccolta fondi per piantare alberi, destina una parte dei proventi degli oggetti alla raccolta e pianta una foresta. Dalle il nome di “Quercia della tribù” e sii felice, pensando che da un albero e dalla sua storia nasce un bosco di racconti.

Mi scuso se paio fuori luogo o spocchioso, non è mia intenzione, vorrei solo aiutare come posso.

Possa il dolore non andare sprecato e insegnarci, una volta ancora, quanto l’amore guarisca il mondo… mi dispiace.