“Il genere, Quercus, deriva dal celtico kaer quer, ‘bell’albero’. La specie, robur, è parola latina che significa ‘forza, vigore’ e allude in modo generico alla grande robustezza e solidità della pianta.”
Non mi soffermo nemmeno sulla bellezza infinita della simmetria tra il post di ieri e quello di oggi. Non devo spiegartelo no? Dai. Magnifico.
Spieghiamo prima le foto alle quali purtroppo manca uno scatto molto bello che troverò in un secondo. Abbiamo io, sporco di sangue a indicare il mazzo che farò a chi prova a toccarla e lei, dietro di sfondo.
Un’immagine durante la potatura in arrampicata (meno traumatica) che dà un’idea delle proporzioni pianta/uomo.
Un minimo scorcio di quanto sia bella in primavera.
Io che parlo con un suo parente.
Cerchiamo di creare i contorni di questa storia. La quercia di cui stiamo parlando dovrebbe essere nata insieme al rustico originale, 1897. È sempre stata lì ed era lì quando l’impresa ha diviso il lotto originale e noi ne abbiamo preso l’ultima parte. Pensa che il terreno era più economico perché “purtroppo” conteneva anche queste due querce secolari (probabilmente imparentate) cosa che per me costituì ai tempi (15 anni fa) solo un valore aggiunto.
Da quel giorno mi ha e ci ha osservato ripulire l’appezzamento. Scavare la terra. Costruire una casa. Piantare ortaggi e frutta.
Mi ha dato foglie per la pacciamatura e gli imballaggi. Ghiande che ho ridotto in farina e mangiato (o che Wanda ha mangiato direttamente). Germogli che ho usato per i miei lavori o ho regalato per essere futuri bonsai. Ci ha fatto ombra. Riparato dalle tempeste. Ospita da sempre almeno due dozzine di nidi e sicuramente da riparo ad almeno due rapaci notturni differenti. Ha ristorato lo sguardo le primavera, infuocato i tramonti in autunno, donato un’atmosfera magica agli inverni. C’è sempre stata.
Fino a che una persona ha acquistato il rustico. Lo ha trasformato in un B&B e ha iniziato a brontolare. Non so ancora i contorni della vicenda, ma so solo che mi sono ritrovato nella situazione di ieri. Un giardiniere (che troverò e me la pagherà) butta giù due righe scrivendo che la pianta è gravemente malata e morirà a breve. Il comune viene avvisato alla buona. Ci si prepara a tagliarla. Senza che io ne sapessi nulla.
Piango 40 secondi circa (vedi sempre il post di ieri) e poi mi attivo.
Sento la forestale. Trovo un perito agrario che si occupi di periziare la salute e la stabilità delle piante (1.200 euro così, estratti dal cappello a cilindro). Mi accordo per una assicurazione sui possibili danni che potrebbe cagionare. Trovo dei potatori per una eventuale riduzione (altri 2.500 euro che dovrò trovare nel più breve tempo possibile) e raccolgo infine pareri legali.
In sintesi, la pianta ha sicuramente una carie, ma l’entità del danno non dovrebbe comprometterne la salute. Dal punto di vista legale si trovava lì e il confine le è stato segnato sopra, quindi non si possono avanzare pretese. Per la monumentalità è necessaria una procedura che seguirò nel minimo dettaglio. L’assicurazione è fattibile, cambierà il costo solo in base all’attestato di rischio dato dalla perizia.
Caso (caso?) ha voluto che trovassimo come Debitum l’occasione di recuperare e salvare una delle più grosse collezioni mai salvate tra l’altro con una bellissima storia annessa. Dandomi l’occasione di creare una grande vendita con buone occasioni per il pubblico e un buon guadagno per noi dal quale verrà accantonato il 20% in fondo per le operazioni che riguardano questa storia (di cui ovviamente vi terrò aggiornati, a questo punto allego anche la foto della collezione). Ci saranno altre iniziative, ad esempio tutti quelli che contribuiranno (indirettamente, non ho voluto fare nemmeno una raccolta fondi, lei è mia, io sono suo, ce la vediamo noi… se qualcuno vuole aiutare lo farà autonomamente) riceveranno un ciondolo ricavato dal legno delle sue potature. Racconterò la sua storia fino all’ultima grande vittoria o sconfitta che sia.
La cosa peggiore di questa storia è stato vedere come i suoi protagonisti abbiano discusso e ragionassero riguardo l’uccisione di un essere centenario, alto 30 metri e pesante non so quante tonnellate come se si parlasse di spazzare via la polvere o rimuovere un sasso da un sentiero. Nessuna percezione della sua grandezza della QUANTITÀ e QUALITÀ di vita che porta con sé e accoglie su di sé da più anni di quanti loro abbiano vissuto. L’ho trovato aberrante. Non credo che un essere umano possa ritenersi tale se ha una tale cecità nei confronti della vita che lo circonda. Mi spiace se qualcuno di loro leggerà queste righe ma dubito di poter essere smentito o criticato.
E già così la lezione è grande. Tanto banale che quasi non la racconterei. Ma tanto siamo qui a ballare, balliamo.
Lei è 130 anni che cresce e osserva il mondo immobile come la sua specie costringe ad essere, ma è percettiva, viva, possente. È da sempre un simbolo di tenacia e forza già dal suo stesso nome. E, per quanto ami gli animali, credo che le piante, gli alberi in special modo, abbiano qualcosa di veramente oltre, di speciale. Mancuso nella sua conferenza “L’intelligenza delle piante” dice in modo quasi trasognato che le piante sono assai più evolute di noi perché sembrano A NOI più semplici ma in realtà hanno dovuto evolversi per resistere all’ambiente intorno a sé, i pericoli e le minacce SENZA POTER FUGGIRE o lottare solo in virtù della loro forza, tenacia e adattabilità.
E io mi sento trascinato e ispirato da questo esempio vivente che mi osserva dalla finestra della camera da letto. Ieri ho cantato le lodi della fragilità e oggi parlo fieramente dell’opposto.
I miei amori, le “mie” compagne e compagni, le mie relazioni, i miei progetti, il mio lavoro, i miei desideri, le mie opere voglio siano solide come quel tronco.
Sono anche cinghiale: Sirah Úlfurdòttir credo abbia un video di me che avanzo nella boscaglia… dritto, tirandomi dietro tutto, i cinghiali è così che creano sentieri nella foresta (e se non lo sai dovresti comprarti Orme Selvagge, il corso possibilmente o almeno il libro) ma in questo caso mi sento ancora di più come Lei.
Non arretrerò di un millimetro su questo progetto, su tutto il nostro collettivo, sulla nostra arte neppure nei momenti più bassi o con le peggiori nefandezze diffuse contro di me o noi. Non cederò per quanto possa essere buio un momento della vita famigliare o una persona che amo sia lontana, in difficoltà, mi faccia soffrire (di nuovo, rileggi il post di ieri), non riesca momentaneamente a darmi ciò che vorrei o essere ciò di cui ho bisogno. Non smetterò di credere nella divulgazione che facciamo, nella lotta ecologica o nel rewilding, per quanto poco possa fare presa sul pubblico.
Questo collettivo, la mia polecola, le singole persone che amo, la mia tribù, i miei fratelli, i miei amici, mia madre, le mie sorelle, il mio pubblico E I MIEI NEMICI devono tenere bene a mente che io sono e sarò sempre li. Stabile. Radicato. Maestoso (e modesto).
Puoi solo uccidermi per eliminarmi. Esattamente come per Lei.
Devi riuscirci però.
Non c’è domanda neanche oggi. Alla fine, non è poi così necessaria, no? Se volete dare una mano con la collezione e quindi indirettamente per questa storia scrivetemi che vi invio i link e grazie a tutti ieri sia per il sostegno che per le info utili.
p.s la perizia è martedì pomeriggio.
RISPOSTE:
Io piango ancora, dopo ormai quasi 12 anni, al pensiero di un vecchio noce, ultracentenario, che viveva nel cortile della casa dove abitavo. Io lo amavo, perché quando aprivo la finestra del bagno le sue fronde entravano in casa. I miei vicini volevano tagliarlo “perché sporcava” (!!!) quando perdeva le foglie. Sono mancata una settimana a inizio agosto per stare vicino a mia mamma e al mio ritorno l’ho trovato capitozzato. In estate. Senza nessun permesso. Benzina versata in fori praticati sul tronco. Ho pianto due giorni e poi ho venduto la mia casa. Ho portato via dal giardino una sua noce germogliata che ora vive serena in montagna ed è già un bell’alberello. “Non credo che un essere umano possa ritenersi tale se ha una tale cecità nei confronti della vita che lo circonda”: sono d’accordo. Ora scarico Telegram e vedo di aiutare la tua quercia, anche in ricordo del mio noce.
Due anni fa, l’ultima volta che sono tornato nella mia terra natia, ho deciso con mia moglie di andare a vedere uno degli alberi più antichi d’Europa, un olivastro sardo di ben 4000 anni. Per fortuna in Sardegna nonostante certe merde che appiccano gli incendi, le persone amano e difendono gli alberi, di pluricentenari ne abbiamo parecchi, ma di millenari no, quindi andare a trovare questi padri dell’isola è dovuto, non solo, è uno spettacolo vero e proprio. Così prima di imbarcarci per il ritorno ci siamo goduti anche la visita a questi colossi. Sì, perché non ce n’è uno solo, gli altri sono più giovani, hanno circa 2000 anni. Ho raccolto un rametto secco sotto la pianta e ne ho fatto un gancio che ora è appeso con dei campanacci sempre sardi. Dove sono nato le querce sono le piante più diffuse, belle e maestose, profumate e resistenti come pochi alberi. Sono cresciuto con loro, il formaggio che mangio è affumicato con gli arbusti ricavati dalle potature di questi boschi che i pastori preservano da migliaia di anni.
Questo è da sempre uno dei più grandi problemi dell’uomo:
Eliminare piuttosto che curare.
Vorrei vedere loro, se avessero una malattia, cosa farebbero. Si ammazzano perché hanno una ciste? Si uccidono perché hanno i denti cariati? NO.
PER CARITÀ NO!!!
Quindi perché farlo con altri esseri viventi?
Sempre troppo facile togliere sostituire… quando ci prenderemo la responsabilità di sistemare, anziché togliere, sarà sempre troppo tardi…
Sono cresciuta in campagna. Da 0 a 14 anni la mia vita si è svolta in una sorta di dimensione parallela rispetto a quella dei miei coetanei. Era scandita dal mutare delle stagioni e delle chiome degli alberi. Lo diresti mai che io mi arrampicavo sugli alberi?! Già. 2 in particolare mi sono rimasti nel cuore. Uno è proprio una quercia. Bella, maestosa. Cresceva nel giardino delle figlie del proprietario della cascina in cui vivevo coi nonni. E ogni volta che andavo da loro era un’emozione. Passavamo pomeriggi interi tra i suoi rami, a sognare e raccontare storie.
L’altro era un ciliegio. Enorme. Quando ho dovuto salutarlo era in fiore. Uno spettacolo unico. Sapevo che di lì a poco tutti quei fiori avrebbero invaso l’aria in una nevicata di bellezza. E sapevo che non l’avrei più rivisto. L’ho fotografato con la mia macchinetta scrausa, ed è una delle foto che ho più a cuore.
Anni dopo, il nonno ha saputo che avevano raso al suolo la cascina, e abbattuto tutti i ciliegi, le betulle e i castagni che c’erano per costruire unità immobiliari. Aveva gli occhi lucidi, io ho pianto come quando si perde un affetto. E ho perso tantissimo, quel giorno.