DNBlog – Day 4 – La Nera Signora

Debitum Naturae

Writer & Blogger

Va bene che al supremo Z questa iniziativa piace algoritmicamente parlando però direi che chiamare la “Nera Signora” con il suo nome proprio nel titolo non sia la cosa più furba del mondo ecco.

Te lo avevo promesso.

Era inevitabile.

Aveva più che senso.

Parliamone.

Partiamo da lei. Minerva. L’essere di cui ho più patito la dipartita (e io ho perso in un incidente d’auto il mio primo amore). Mi autocito dal post dedicato a lei:

“Era tanto vecchia. È stata potente e nobile fino in fondo.

Mai dato un problema. Mai una noia (tranne una cicatrice involontaria che sono felice e orgoglioso di avere addosso). In salute fino all’ultimo. Oggi mezzo uggiolio negli ultimi istanti. E lo sguardo di sempre a salutarmi, fino a poco prima dei minuti finali. Ha aspettato che mi alzassi. Si è trascinata fuori dalla cuccia e si è appoggiata a me. Forse nemmeno 10 minuti (nei quali sono stato con lei e ho sparato Bach a palla) e lo spirito è andato. Divenendo una delle tante meraviglie non più vive che mi passano tra le mani.

Chiunque la abbia conosciuta la adorava. È sempre stata meglio di moltissime persone che conosco. Ha vissuto nel migliore dei modi e se ne è andata nel migliore dei modi. Per se stessa e per gli altri.

Credo sia stata semplicemente perfetta in tutto, persino nella morte. Sono fiero di lei.”

Intanto mentre si parla di Minerva devi andare sul tubo e cercare True Love’s Last Kiss dell’orchestra “Eternal Eclipse”. Fallo. Non barare. Mettila su e rileggi il paragrafo sopra.

No, non ringraziarmi per questo magone gratis che ti ho regalato.

Il comportamento del nostro “pubblico”, quindi un insieme di persone già più avvezzo a certi discorsi, quando si parla di PROPRI animali si distribuisce lungo uno spettro che va dal “tassidermia che riproduce fedelmente chi non c’è più ” al “no di lui / lei non voglio sapere nulla, deve rimanere là, sotto l’albero”

Io mi sono piazzato nel mezzo. L’ho seppellita sotto uno dei miei ciliegi e dopo un anno ho scavato a mani nude fine a prendere solo il cranio che ho ripulito nel modo meno invasivo possibile e ora mi osserva bonario dai vari punti della cucina in cui lo piazzo, in attesa di decidermi a fare una teca degna.

Perché entro così nello specifico? Perché credo sia il modo migliore di capire l’atteggiamento di ciascuno di noi nei confronti di Thanatos. Anche qua si va per gradi.

Ad un estremo abbiamo rifiuto, ribrezzo, paura.

All’estremo opposto amore, rispetto e consapevolezza.

Ogni posizionamento è lecito ma penso onestamente che questo lato dello spettro sia il più sano e costruttivo. E ne parlo ovviamente sia per smuovere chi si ostina a rifuggire un aspetto fondamentale dell’esistenza (diciamo qualcuno che dovesse leggere per caso questo post e non faccia parte già della community) sia per spingere a fare qualche passo avanti chi ha già preso un po’ di consapevolezza.

Credo che sei ami le ossa, l’arte macabra etc. ma poi tratti in modo “differente” chi ti era vicino significa che il tuo cammino di consapevolezza è incompleto. Opinione mia sia chiaro eh, come tutti questi articoli d’altra parte. “Non con xyz proprio non ce la faccio”, “Non voglio nemmeno vedere” etc, per me nascondono ancora taciuti sentimenti negativi nei confronti della Mietitrice (troverò sinonimi fino in fondo).

Non dico che si debba essere felici sia chiaro. Anzi. Da sempre sostengo che la perdita di qualcuno caro sia uno dei pochi dolori assolutamente incontestabili. Piangere per qualcuno umano o no che non c’è più è SEMPRE lecito. Ma io parlo di consapevolezza e sì, rispetto, ammirazione… per… il cambiamento.

E tac. Qui arriviamo alla parte filosofica del post di oggi.

La perdita di qualcuno è un cambiamento radicale nell’esistenza. Il PIÙ radicale e sicuramente l’unico davvero irreversibile senza appello. Il fatto è che può cogliere anche solo ASPETTI di noi. E allora per me essere in un certo senso “thanatologo” (grazie Stefano Gelao per la laurea che conferma questo status) non è solo vincere il ribrezzo e la paura nei confronti di qualcosa che biologicamente, evolutivamente, ci respinge. Non è solo impegnarsi a divulgare tutti gli aspetti ciclici e positivi che la fine della vita porta con sé. Non è neppure fare il passo successivo di accettare e rispettare la perdita anche per chi ci è vicino (piccola digressione: ma vi ricordate i talk e i post disperati di chi difendeva il diritto di essere angosciato dalla perdita dei bisnonni 99enni? Cioè sia chiaro ogni perdita è legittimamente dolorosa ma siamo CHIARAMENTE un paese gerontofilo e che non riesce assolutamente ad accettare questo aspetto dell’esistenza) e arrivare magari addirittura a trasformarlo in un pezzo della nostra arte.

Alt. Alta digressione.

Una delle obiezioni più comuni alle nostre opere è: vorrei vedere se fosse il tuo cane/gatto/parente. Eh ma poverino lasciatelo riposare nel bosco. Etc.

Dai. Sono tutte balle. Semplicemente ti ribrezza e spaventa. Perché è EVIDENTE che ciò che facciamo è rendere onore alle spoglie “materiali” di un essere vivente. Trasformarle in un’opera che qualcuno pagherà (a volte parecchio, ne parlerò credo del valore dell’arte), esporrà con cura, di cui sarà fiero, è una forma di rispetto e onore. Non posso davvero in questo stesso articolo dissertare su come antropologicamente i comportamenti “funebri” siano radicalmente diversi orizzontalmente, geograficamente e verticalmente lungo il corso della storia ma di come l’elemento comune sia l’ONORARE in qualche modo la memoria di chi è mancato. E sono disposto a qualunque confronto a riguardo ma è innegabile che ciò che facciamo sia QUELLO.

Lasciare che la “materia” per noi anche nobile che costituiva un essere vivente divenga una crosta sull’asfalto NON È portar rispetto.

“Eh ma lasciala nel bosco”

Sni. In parte. Noi lasciamo sempre la maggior parte della materia in natura, persino quando recuperiamo in altro modo qualcosa, nella pulizia tutto lo scarto viene riportato in natura, seppellito o lasciato in pasto ad altri esseri (chissà se riuscirò a parlarvi di universo26 in un post) e una piccola parte la “prendiamo”. Certo. Infatti si chiama DEBITUM NATURAE non PRENDOCIOCHEMIPARECHISSENEFREGA NATURAE

Torniamo a noi. Qual è lo step successivo ancora secondo me?

Accettare che Thanatos faccia parte anche della NOSTRA vita. E qua ti voglio. Altra cosa che mi è capitata di dire spesso quando conoscendo qualcuno/a e scoprivo che da poco aveva attuato o subito critici cambi radicali è che “sento puzza di carcassa, anche quando è solo emotiva”. Eh sì. Ed è lì il nucleo dirompente del discorso che sto facendo oggi.

Accettare la perdita, la “mietitura”, la “falce” nella propria vita significa accettare il cambiamento. Anche traumatico. Anche terribile. Ma SEMPRE proiettato in avanti nel proprio ciclo. Facile dire “sì sì a me piace la robba macabbra frate’” e poi rifiutare le stesse dinamiche di disgregazione propedeutico al cambiamento nella PROPRIA esistenza.

Minerva mi ha dato tanto. Se ne è andata. La cosa mi ha fatto soffrire terribilmente

MA

ne sono felice. E NO, non perché sono uno psicopatico (anche dai) ma perché Thanatos fa parte della mia esistenza, lo rispetto e finanche ammiro.

Ed è stato, e sarà sempre, così.

Accettare questo concetto non ti rende immune dai traumi derivanti dall’operare di quella inevitabile falce ma ti trasporta in una dinamica di win or win che è quasi estatica. Una sorta di fatalismo ma sempre positivo.

Oh lo so che sto post sembra un po’ folle (o paraculo) ma potrei portare decine di esempi.

Quindi credici. Oppure no. Fa tu.

E infatti la domanda di oggi è… da 1 a 10 dove 1 è la thanatofobia più estrema e 10 è il nirvana dell’accettazione di ogni perdita dove ti poni TU? E ti trovi bene nel punto in cui sei o cercherai di salire quella scala?

Vabbè sono due domande

Stacce

RISPOSTE:

Questa è una domanda difficile, non mi sento in grado di “darmi un voto”, ma ci proverò. Il mio rapporto con Thanatos è sempre stato profondo ma all’inizio terrificante. Non accettavo per niente la sua esistenza eppure ne ero affascinata.

Quando vi ho conosciuto nel “lontano” 2016 ha iniziato a diventare una compagna meno spaventosa, la cercavo durante le mie passeggiate nei boschi e la ritraevo in tutti i miei dipinti. Queste pratiche mi permettevano/costringevano a meditare su di essa, mi hanno permesso di comprenderla ed amarla come parte fondamentale della Vita.

Quando in questi ultimi anni ho perso persone a me care ho accolto il dolore con una consapevolezza che non credevo avrei mai raggiunto, sono riuscita ad accettarlo, cosa che prima del “lontano” 2016 non sarei mai e poi mai riuscita a fare.

Da un 2 credo di essere passata ad un 7. Non mi do voto più alto perché so di essere stata fortunata nella mia vita e non so come reagirei di fronte a situazioni inaspettate e terribili. Punto ad un 10 che non so se raggiungerò, ma finché la Nera Signora non porterà via anche me continuerò a lavorarci.

Eccomi!

Sempre avuto un rapporto molto intimo con la morte, ho perso diverse anime care, umane e non, e come sai non sono una che ha paura di sporcarsi le mani, metaforicamente e non.

Personalmente i miei animali domestici, così come i miei cari estinti, non me li tengo in casa post mortem.

Scavo una fossa MOLTO profonda (molto più del necessario) solitamente in un luogo poco accessibile e in natura, e li lascio lì. Non torno mai.

Forse è questo il mio debitum naturae: restituire almeno le loro spoglie a madre terra dopo aver, in qualche modo, sottratto un’anima al suo habitat per godere della sua compagnia.

Per me collezionare e studiare le ossa e i resti anatomici è qualcosa di non “spirituale”, lo vivo col fascino della scienza e della bellezza della biodiversità, ma quando ho conosciuto quell’animale e lo ho amato in vita non riesco più a vedere il teschio ma il singolo individuo che ho amato, e ciò non mi permetterebbe di superare il lutto.

Stessa cosa vale per i miei parenti: una volta morti non ho mai più voluto vedere i loro corpi e, per esempio, non terrei mai un’urna in casa.

Non saprei come piazzarmi sulla scala, forse 5?

6/7. La vita, come la morte, è un processo collettivo. La vita, come la morte, connette luoghi, vite (umane e non umane) e memorie. In Into the (Re)Wild abbiamo dedicato un capitolo al Thanatos, cercando di spiegare come le singole vite trascendano in quelle altrui, per cui il nonsenso della singola morte viene racchiuso in un senso storico e biologico più ampio. Oltre la vita c’è altra vita; oltre la morte c’è altra vita. Detto questo, le singole vite recise generano in noi indubitabile tristezza, dolore e immenso spaesamento. Entrambi abbiamo profonde difficoltà a rispondere alla scomparsa dell’esistenza di qualcuno (umano o non). Ps. la Sesta Estinzione di Massa della biodiversità ci mette in costante depressione.

10 credo. La morte, come la vita, è parte dell’illusione generata dalla ‘coscienza’. Perciò osservo e lascio fluire il divenire senza sentirmi oppresso né spaventato da questo. Non temo la morte più di quanto non tema la vita. Il dolore per la perdita non si prolunga mai in me più di pochi istanti. Nulla è immutabile, questa è la vera magia della vita, nel vostro lavoro neanche la morte è immutabile, questo è il modo migliore di celebrare il divenire, l’eterno ciclo di falce e aratro. Dalla dipartita, dalla perdita, nasce nuova vita seppur in senso diverso. Per citare l’oracolo di Matrix: “Tutto ciò che ha un inizio, ha anche una fine.” Ma ogni conclusione nasconde in sé la potenza del principio.

Il dolore della perdita per me dura il momento della perdita, rimuovendo il desiderio di impedire il cambiamento, si rimuove gran parte della paura che mascherata da dolore ci affligge. Mi trovo dunque a evitare il ristagno e il decadimento, se capita di pensare a qualcuno che non c’è più, mando luce e amore in quella direzione e lascio perdere.

Non credo la morte sia più brutta della vita e non reputo quest’ultima brutta, se mai difficile. La morte è il giusto punto di svolta di un ciclo, attraverso il quale a seconda delle credenze si ripete il ciclo o si va oltre, annullando questo punto il cerchio diventa semiretta e le semirette sono noiose, perché sulla strada sono le curve a destare interesse. La vita come la strada ha di bello che ha una partenza e un arrivo, giusto? Sì, credo di sì e lo credo fermamente. La morte non è un abisso di orrori, ma un autunno dove si perdono le foglie, nessuno giudica triste l’autunno perché troppo distratto dai colori, forse quando si riesce a vedere i colori della morte, non ci sembra più così triste. Forse, in fondo in fondo, è questo quello che fate tu, Magda, Sirah, Niki, Varg e tutto il consiglio della tribù (che non taggo per non obbligarli a leggere sto mappazzone d’inchiostro virtuale): mostrate al mondo le tinte della morte, di un autunno così grande che alle volte le persone si perdono i colori tenendo lo sguardo fisso sui rami spogli.

Come saluto vorrei regalare a chi ha letto fin qui una bellissima citazione di Robert Frost: “Se un epitaffio dovesse raccontare la mia storia, ne avrei uno già pronto sulla mia lapide: ho avuto una piccola lite d’amore con il mondo.”

(Becca. Due domande, due citazioni).